dsm-firmenich, Romain Bardet sul doping: “Ci sarà sempre il desiderio di cercare dei vantaggi. Poiché le regole non sono stabilite chiaramente, non dobbiamo stupirci di eventuali deviazioni”

Sull'utilizzo del monossido di carbonio come pratica per migliorare le prestazioni, il 34enne ha ammesso che "può spiegare la traiettoria di alcuni corridori che non conoscevamo un anno fa"

Romain Bardet non si fa illusioni riguardo alla questione doping nel ciclismo. Corridore che ha sempre preso una posizione netta contro il ricorso a pratiche mediche illegali al fine di migliorare le prestazioni, tanto da auspicare l’introduzione di norme più stringenti, il 34enne del Team dsm-firmenich PostNL ha ammesso in un’intervista a Eurosport di essere consapevole che esisterà sempre qualcuno che proverà a barare e a prendere scorciatoie per raggiungere il successo nello sport. Un punto importante sul quale si è soffermato lo scalatore francese riguarda l’utilizzo dei cosiddetti “rebreather” di monossido di carbonio, una pratica di cui si è discusso molto negli scorsi mesi e che viene utilizzata legalmente per misurare i livelli di emoglobina nel sangue, ma che potrebbe essere usata anche per altri scopi, come migliorare le performance.

“Onestamente, l’ho appreso dalla stampa – ha dichiarato Bardet – Non ho mai sentito parlare di nulla, ma d’altronde non ne sarei sorpreso. Si fanno così tante ricerche con l’idea di ottimizzare le prestazioni. Non sorprende che alcuni ricercatori, alcune squadre, alcuni ciclisti guardino altrove. Ci sarà sempre il desiderio di cercare vantaggi competitivi. Sta a ciascuno stabilire la soglia di ciò che sembra etico e giusto nella ricerca assoluta e disperata del risultato finale in relazione ai propri valori. Come per i chetoni, come per tante altre cose, è soggetto all’interpretazione. E purtroppo, poiché le regole non sono stabilite chiaramente, poiché l’interpretazione è lasciata alla discrezione di ciascun individuo e poiché si tratta di uno sport ultra-competitivo in cui conta solo la vittoria, non dobbiamo stupirci di eventuali deviazioni“.

Il monossido di carbonio può spiegare la traiettoria di alcuni corridori che non conoscevamo un anno o un anno e mezzo fa, ma è anche un’accusa piuttosto facile da fare senza guardare la loro traiettoria – ha proseguito il transalpino – Queste procedure sono state documentate e ora spetta alle autorità decidere se vietarle o meno e fare dei controlli. In un mondo così competitivo, con una posta in gioco così alta dal punto di vista economico, è del tutto inutile credere che siano la buona volontà e l’etica irreprensibile dei corridori e delle squadre a consentire una sana regolamentazione dell’ambiente. È del tutto illusorio”.

Un’altra questione molto dibattuta riguarda l’ipermedicalizzazione, ovvero l’eccessiva assunzione di farmaci consentiti: “È la stessa cosa, sono i quadri giuridici che devono avere codici etici rigorosi. Rispetto ai medici con cui sono entrato in contatto nella mia carriera e nello sport, non ho mai percepito questo tipo di devianza. Culturalmente, penso addirittura che il ciclismo fosse in una situazione molto peggiore in termini di uso di doping quando sono entrato nei professionisti rispetto ad oggi. Penso che dobbiamo intensificare la lotta e avere strutture legali forti, che si tratti dell’UCI o della WADA, che prendano posizione e, soprattutto, che rendano i responsabili e i corridori consapevoli di ciò che vogliamo ottenere in definitiva con lo sport”.

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